Dai farmaci scaduti ai drenaggi, dai contenitori sterili ai materiali taglienti monouso come aghi, siringhe e bisturi, dai gessi alle piccole parti anatomiche. È lungo l’elenco delle tipologie di rifiuto che ricadono nella categoria CER 18, quella degli scarti prodotti dal settore sanitario e veterinario o da attività di ricerca collegate. E sebbene l’intera categoria rappresenti poco più del 2% dei rifiuti speciali complessivamente generati dalle attività produttive a livello nazionale, la sua gestione ha ricadute importanti sull’intera collettività. Sul piano economico, visto che la spesa per il trattamento ricade in buona parte sui costi del sistema sanitario nazionale, ma anche su quello ambientale.
Sono 178.643 le tonnellate prodotte nel 2016 in Italia. Del totale dei rifiuti prodotti, circa il 90% (pari nel 2016 a 159.721 tonnellate) è classificato come pericoloso e deve essere quindi gestito in sicurezza, senza arrecare danno alla salute umana o agli ecosistemi.
La gestione è tuttora disciplinata dal DPR 254 del 15 luglio 2003, che ripartisce i rifiuti sanitari in non pericolosi e pericolosi, distinguendo poi questi ultimi a seconda della presenza o meno di rischio infettivo. I rifiuti sanitari e ospedalieri a rischio infettivo non possono essere smaltiti ovunque, ma possono solo essere inceneriti in pochi impianti autorizzati sul territorio nazionale.
La situazione a livello territoriale presenta squilibri notevoli: la Campania produrrebbe ad esempio oltre 12mila tonnellate di rifiuti sanitari, esportandone quasi 9mila. Nelle Regioni dotate di impianti invece il flusso si inverte. L’Emilia Romagna, ad esempio, importerebbe più del doppio degli scarti sanitari prodotti sul suo territorio, 33mila tonnellate contro poco più di 15mila, mentre la Calabria, che ne genera 3.400 tonnellate, ne importa invece oltre 11mila.
I problemi non si limitano al “dove” trasportare gli scarti infettivi dovuti alla scarsità di impianti sul territorio, ma si estendono anche al “come” e, nello specifico, investono il tipo di imballaggio da utilizzare. Fino ai primi anni 2000 per trasportare i rifiuti sanitari pericolosi dalle aziende ospedaliere verso gli impianti di smaltimento, le ditte appaltatrici del servizio di raccolta utilizzavano quasi esclusivamente contenitori monouso in cartone o polipropilene alveolare, che una volta giunti a destinazione venivano inceneriti insieme con il loro contenuto. Uno scenario rimasto invariato fino al 2003, quando l’entrata in vigore del DPR ha introdotto per la prima volta la possibilità di utilizzare un imballaggio rigido in polipropilene o polietilene “eventualmente riutilizzabile previa idonea disinfezione ad ogni ciclo d’uso”.
Un successo, quello dei contenitori riutilizzabili, che i produttori di contenitori rigidi riutilizzabili fanno risalire alla maggiore resistenza dei loro imballaggi a urti e agenti atmosferici, ma anche alla loro sostenibilità: riutilizzare significa produrre meno rifiuti, e anche quando alla fine l’imballaggio deteriorato diventa un rifiuto, può entrare nel circuito del riciclo. La vita massima di ciascun contenitore è fissata in 12 cicli d’uso – prosegue l’azienda – ma raramente un contenitore è così longevo. I contenitori danneggiati sono scartati, avviati ai mulini di triturazione; la plastica recuperata è utilizzata per la produzione di un contenitore nuovo, secondo la filosofia per la quale un prodotto non esaurisce la propria vita utile nel momento in cui viene tolto dal ciclo di produzione, ma la materia viene recuperata per la stampa di un nuovo prodotto.
La SIPRAM srls, che opera sull’intero territorio della Puglia, è in grado di offrire ai propri clienti, grazie alla collaborazione con aziende attrezzate per la sanificazione dei recipienti di raccolta, un servizio di raccolta e smaltimento di rifiuti sanitari e ospedalieri pericolosi a rischio infettivo (ROT) che preveda l’impiego di contenitori riutilizzabili, contribuendo in tal modo alla riduzione della produzione di rifiuti e dell’impatto ambientale correlato alla termovalorizzazione degli imballaggi del tipo “usa e getta”. Per i casi in cui l’impiego di recipienti riutilizzabili non sia ritenuto opportuno la SIPRAM srls propone ai propri clienti servizi di raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti sanitari e ospedalieri pericolosi a rischio infettivo (codice CER 180103*), prodotti da laboratori clinici, strutture ospedaliere, ambulatori medici e veterinari, ecc., che prevedono l’utilizzo di contenitori tradizionali a perdere, in cartone o in plastica rigida.
Last Updated: 15 Agosto 2019 by Sipram
Raccolta, trasporto e smaltimento di rifiuti sanitari e ospedalieri a rischio infettivo (ROT)
Dai farmaci scaduti ai drenaggi, dai contenitori sterili ai materiali taglienti monouso come aghi, siringhe e bisturi, dai gessi alle piccole parti anatomiche. È lungo l’elenco delle tipologie di rifiuto che ricadono nella categoria CER 18, quella degli scarti prodotti dal settore sanitario e veterinario o da attività di ricerca collegate. E sebbene l’intera categoria rappresenti poco più del 2% dei rifiuti speciali complessivamente generati dalle attività produttive a livello nazionale, la sua gestione ha ricadute importanti sull’intera collettività. Sul piano economico, visto che la spesa per il trattamento ricade in buona parte sui costi del sistema sanitario nazionale, ma anche su quello ambientale.
Sono 178.643 le tonnellate prodotte nel 2016 in Italia. Del totale dei rifiuti prodotti, circa il 90% (pari nel 2016 a 159.721 tonnellate) è classificato come pericoloso e deve essere quindi gestito in sicurezza, senza arrecare danno alla salute umana o agli ecosistemi.
La gestione è tuttora disciplinata dal DPR 254 del 15 luglio 2003, che ripartisce i rifiuti sanitari in non pericolosi e pericolosi, distinguendo poi questi ultimi a seconda della presenza o meno di rischio infettivo. I rifiuti sanitari e ospedalieri a rischio infettivo non possono essere smaltiti ovunque, ma possono solo essere inceneriti in pochi impianti autorizzati sul territorio nazionale.
La situazione a livello territoriale presenta squilibri notevoli: la Campania produrrebbe ad esempio oltre 12mila tonnellate di rifiuti sanitari, esportandone quasi 9mila. Nelle Regioni dotate di impianti invece il flusso si inverte. L’Emilia Romagna, ad esempio, importerebbe più del doppio degli scarti sanitari prodotti sul suo territorio, 33mila tonnellate contro poco più di 15mila, mentre la Calabria, che ne genera 3.400 tonnellate, ne importa invece oltre 11mila.
I problemi non si limitano al “dove” trasportare gli scarti infettivi dovuti alla scarsità di impianti sul territorio, ma si estendono anche al “come” e, nello specifico, investono il tipo di imballaggio da utilizzare. Fino ai primi anni 2000 per trasportare i rifiuti sanitari pericolosi dalle aziende ospedaliere verso gli impianti di smaltimento, le ditte appaltatrici del servizio di raccolta utilizzavano quasi esclusivamente contenitori monouso in cartone o polipropilene alveolare, che una volta giunti a destinazione venivano inceneriti insieme con il loro contenuto. Uno scenario rimasto invariato fino al 2003, quando l’entrata in vigore del DPR ha introdotto per la prima volta la possibilità di utilizzare un imballaggio rigido in polipropilene o polietilene “eventualmente riutilizzabile previa idonea disinfezione ad ogni ciclo d’uso”.
Un successo, quello dei contenitori riutilizzabili, che i produttori di contenitori rigidi riutilizzabili fanno risalire alla maggiore resistenza dei loro imballaggi a urti e agenti atmosferici, ma anche alla loro sostenibilità: riutilizzare significa produrre meno rifiuti, e anche quando alla fine l’imballaggio deteriorato diventa un rifiuto, può entrare nel circuito del riciclo. La vita massima di ciascun contenitore è fissata in 12 cicli d’uso – prosegue l’azienda – ma raramente un contenitore è così longevo. I contenitori danneggiati sono scartati, avviati ai mulini di triturazione; la plastica recuperata è utilizzata per la produzione di un contenitore nuovo, secondo la filosofia per la quale un prodotto non esaurisce la propria vita utile nel momento in cui viene tolto dal ciclo di produzione, ma la materia viene recuperata per la stampa di un nuovo prodotto.
La SIPRAM srls, che opera sull’intero territorio della Puglia, è in grado di offrire ai propri clienti, grazie alla collaborazione con aziende attrezzate per la sanificazione dei recipienti di raccolta, un servizio di raccolta e smaltimento di rifiuti sanitari e ospedalieri pericolosi a rischio infettivo (ROT) che preveda l’impiego di contenitori riutilizzabili, contribuendo in tal modo alla riduzione della produzione di rifiuti e dell’impatto ambientale correlato alla termovalorizzazione degli imballaggi del tipo “usa e getta”. Per i casi in cui l’impiego di recipienti riutilizzabili non sia ritenuto opportuno la SIPRAM srls propone ai propri clienti servizi di raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti sanitari e ospedalieri pericolosi a rischio infettivo (codice CER 180103*), prodotti da laboratori clinici, strutture ospedaliere, ambulatori medici e veterinari, ecc., che prevedono l’utilizzo di contenitori tradizionali a perdere, in cartone o in plastica rigida.
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